L’acqua di mare disseta con l’energia solare
Come fanno le piante, con solo un po’ di luce solare. L’acqua potabile del futuro proverrà dal mare, grazie a una tecnologia che ne separa il sale dagli altri elementi. Si tratta di un procedimento a basso costo che si inserisce in un contesto in cui, per rimuovere la componente salina dall’acqua marina, è necessaria una quantità di energia da 10 a 1000 volte maggiore rispetto ai metodi per rifornirsi di acqua dolce.
Dalle piante e dal sole, l’acqua potabile, parola del Politecnico di Torino
Si tratta di una tecnologia in grado di raddoppiare la quantità di acqua potabile a parità di energia solare impiegata, attraverso un procedimento passivo. Il prototipo giunge dal Politecnico di Torino, dove una squadra di ingegneri del Dipartimenti di Energia si è interrogato su come dissalare l’acqua di mare in modo sostenibile e a basso costo.
dissalatore a Varazze
Il processo di funzionamento è molto semplice: «Ispirandosi alle piante, che trasportano l’acqua dalle radici alle foglie per capillarità e traspirazione, il nostro dispositivo galleggiante è in grado di raccogliere l’acqua marina utilizzando un semplice materiale poroso. Evita dunque l’impiego di costose e ingombranti pompe. L’acqua di mare raccolta viene quindi riscaldata dall’energia solare e innesca, così, un processo di separazione del sale dall’acqua per effetto evaporativo – spiegano Matteo Fasano e Matteo Morciano, che, insieme a Eliodoro Chiavazzo, Francesca Viglino e Pietro Asinari, sono gli autori del progetto -. Il tutto è facilitato da una membrana inserita tra l’acqua contaminata e quella potabile per evitare un loro rimescolamento. Si tratta di una strategia simile a quella di alcune piante in grado di sopravvivere in ambienti marini (ad esempio le mangrovie)»
Passiva o attiva? L’acqua dolce richiede energia
Classificabile come passiva, la nuova tecnologia ha la portata di una grande innovazione. Le metodologie tradizionali “attive” necessitano di costose parti meccaniche o elettriche e richiedono tecnici specializzati per l’installazione e la manutenzione. E se anche le tecnologie passive presentano alcuni problemi, il gruppo di ingegneri ha superato gli ostacoli brillantemente. Queste tecniche, di norma, presentano una minor efficienza energetica, ma «mentre i precedenti studi si erano concentrati su come ottimizzare l’assorbimento dell’energia solare, noi abbiamo spostato l’attenzione su come sfruttare al massimo l’energia solare assorbita – dichiarano i giovani scienziati -. Così facendo, siamo riusciti a raggiungere valori record di produttività: fino a 20 litri al giorno di acqua potabile prodotta per ogni metro quadrato esposto al sole. La chiave di questo aumento di prestazioni è il “riciclo” del calore solare in più processi di evaporazione a cascata, seguendo la filosofia del “fare di più, con meno”. Le tecnologie basate su questo processo vengono definite “ad effetto multiplo”, ed è la prima volta che questa strategia venga impiegata in tecnologie di dissalazione “passive”».
Il procedimento proveniente dal Politecnico di Torino non necessita di particolari macchinari o accessori, è altamente produttivo ed è semplice da installare e riparare. È, dunque, un’ottima risorsa da impiegare in regioni costiere che soffrono una cronica scarsità idrica, ma non presentano infrastrutture specializzate e non ricevono investimenti. Già testata direttamente nel mare della Liguria, quest’idea potrebbe avere un impatto positivo sulla qualità della vita nelle regioni colpite da scarsità di acqua potabile.
Mancano solo i giusti partner industriali, capaci di rendere più duraturo, scalabile e versatile il prodotto. Per dare una chance alle popolazioni che nei prossimi anni potrebbero andare incontro a un sempre più serio problema idrico.
di Giorgia Bollati
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