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Fiori a Km 0

di Sara Perro

Fiori a km zero: per promuovere la sostenibilità
Della provenienza dei fiori ci preoccupiamo poco, ma anche questo bene può essere a Km 0

Fiori a km zero: esplorando la filiera floreale e promuovendo la sostenibilità

La trascurata provenienza dei fiori

I fiori non si mangiano. Sarà per questo che ci s’interessa così poco circa la loro provenienza, quanta strada abbiano fatto per arrivare nelle nostre case o dove siano stati coltivati. Se non la spinta etica o salutistica, almeno il costo (spesso proibitivo) dovrebbe far sorgere, però, qualche domanda.

Giulia Giontella e il progetto Flority Fair

A porsi l’interrogativo è stata Giulia Giontella, romana, avvocato ed ex giornalista, dal 2013 pioniera dei fiori a km zero con il suo Flority Fair. Negozio online che vende abbonamenti low cost, ma anche laboratorio, che allestisce decorazioni per matrimoni ed eventi, atelier di gioielli vegetali e scuola di composizione floreale. Il progetto di Giulia nasce da una grande passione e da una serie di giusti interrogativi. «Ho sempre amato avere intorno fiori freschi, in casa, in ufficio, anche in una stanza d’albergo – racconta –. Sono il lusso per eccellenza: un piacere estetico che dura lo spazio di pochi giorni, poi si butta. Non trovo corretto, però, che sia un piacere proibitivo».

Il panorama italiano sui fiori a km 0

In Italia al prezzo dei fiori si fa in realtà poco caso: si comprano solo per grandi occasioni, magari ci si meraviglia dei soldi lasciati al fioraio e finisce lì. Dietro ai 30, 40 o 50 euro di un mazzo di rose o tulipani c’è, tuttavia, una lunga catena di attori, che ad ogni anello diventa un po’ meno sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale.

«A questo proposito – spiega Giulia – un giro alla Floriculture Trade Fair di Amsterdam, la più importante fiera mondiale di floricoltura, può essere molto istruttivo. Con oltre 4mila stand, è lo snodo principale del commercio globale del settore». Una sorta di colorata e profumata Wall Street, dove la professione più diffusa, manco a dirlo, è il broker.

«I broker sono l’anello di collegamento fra chi coltiva e chi commercia, ma la filiera è molto più lunga. Alla base ci sono i “breeders”, le multinazionali che producono e vendono le sementi. Poi i “growers”, per lo più inglesi e olandesi, che comprano i semi e delocalizzano le coltivazioni in Africa o in Sud America». Qui trovano condizioni economiche più vantaggiose: meno diritti per i lavoratori e poche, o nessuna normativa per lo smaltimento delle acque reflue (il che significa che i pesticidi dei fiori vanno a inquinare le falde acquifere e avvelenano agricoltura e allevamenti).

Fiori a km 0

«C’è poi il comparto import/export, dove giocano i broker, facendo da tramite fra le società di logistica e trasporto, gli esportatori e gli importatori. Solo al termine della catena si arriva ai grossisti, che vendono ai fioristi, da cui si servirà il consumatore». E non è finita: «A tutti questi attori si sono aggiunte di recente le società che rilasciano certificazioni di sostenibilità. L’esigenza di mostrarsi eco-compatibili, di per sé positiva, ha dato origine a un nuovo mercato, che allunga ulteriormente la distanza fra produttori e consumatori». I fiori, insomma, costano tanto perché arrivano da lontano, in termini geografici e di sistema.

«Per abbattere le cifre il mio primo obiettivo era dunque evitare la catena di import/export che droga il mercato florovivaistico», spiega l’avvocato. Sostenibilità economica che si sposa a sostenibilità etica e ambientale e porta alla soluzione dei fiori a km 0. Più facile a dirsi che a farsi. «In Italia negli ultimi vent’anni – aggiunge – il 90% dei floricoltori ha chiuso o ha convertito le proprie coltivazioni in pomodori. E i pochi rimasti spediscono i fiori in Olanda!».

Costruendo una rete di fornitori locali

Giulia ha dovuto così costruire la sua rete di fornitori andando a cercare uno per uno i piccoli coltivatori nelle campagne di Lazio, Toscana e Campania. Ognuno specializzato solo in due o tre tipologie di fiori: viole, ranuncoli, gigli, ortensie, crisantemi… Oggi riesce a offrire ai suoi clienti una vasta scelta a prezzi popolari (gli abbonamenti costano 10 euro a settimana, consegna compresa), risparmiando anche su confezione e packaging.

Il mazzo settimanale viene infatti consegnato “grezzo”, in buste di carta come quelle del pane, ma il bello è anche imparare a pulire i fiori e ad allestirli. «I fiori, ovviamente, sono solo di stagione. Non ho rose per San Valentino, ad esempio, perché febbraio non è il loro momento. E del resto, facciamocene una ragione, che le rose siano il simbolo della passione lo ha deciso il marketing».

di Giorgia Marino

Approfondimenti

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