Pesticidi nelle verdure: quanto ne sappiamo?
Sono molti i vegetali che contengono pesticidi, assorbiti e trattenuti nella polpa anche dopo lavaggio e sbucciatura. Lo ha provato un’analisi annuale, condotta dall’organizzazione statunitense Environmental Working Group sulla base dei controlli effettuati dall’U.S. Department of Agricolture e che ogni anno stila una classifica.
Se una corretta alimentazione prevede il consumo costante di frutta e verdura, è bene non perdere di vista – secondo l’ente americano – il potenziale rischio di agenti chimici. Ecco, dunque, che il carrello della spesa si svuota, a favore di broccoli, cavoli, piselli e melanzane, o ai più esotici ananas, mango, avocado e papaia. Cibi della terra “approvati” dall’analisi dell’USDA, che assicura la quasi totale assenza di antiparassitari chimici in queste cultivar, insieme a granturco, asparagi, melone e cavolfiore.
In tutto, sono 230 i diversi tipi di pesticidi identificati dal Dipartimento di Agricoltura che contaminano differentemente determinati cibi piuttosto che altri: studiando le percentuali contenute nei prodotti agricoli, si possono fare alcune stime sulla nocività o sulla salubrità degli alimenti. Sulla base dello studio sono state stilate le due classifiche, la Dirty Dozen e la Clean Fifteen, per guidare i consumatori in una spesa più consapevole e fornire loro gli strumenti per scegliere i prodotti più indicati in modo da assumere tutti i nutrimenti necessari in sicurezza. Se nutrizionisti, medici e dietologi consigliano, infatti, di sostituire cibi pronti e preconfezionati con piatti preparati in casa, occorre essere certi che questi impieghino alimenti selezionati e certificati. Meglio la frutta agli spuntini, a base di merendine e chips, purché sia sana.
Tra i banchi dei contadini, al mercato, è bene seguire poche semplici istruzioni, perché, come spiega lo studio americano, i pesticidi possono inficiare fertilità e gravidanze, riducendo del 26% le probabilità di successo di donne incinte e danneggiando la capacità riproduttiva degli uomini. Integrata dalle analisi e degli studi più aggiornati, la buona norma per fare la spesa resta quella tramandata dai nonni. Selezionare un fornitore di fiducia e rivolgersi preferibilmente a lui, assicurarsi che la produzione sia svolta con etica e in maniera sostenibile, non lasciarsi ingannare dall’aspetto impeccabile e quasi plastico di un frutto sono i dettami intramontabili. In un mondo in cui la totale consapevolezza della natura dei prodotti acquistati resta una chimera, queste regole generali possono costituire un piccolo vademecum a cui appellarsi per scegliere.
Trasparente come il mare
Celebre per l’iconica lattina rosa, il tonno Rio Mare da più di sessant’anni è «tanto tenero che si taglia con un grissino». Ora, oltre a “sciogliersi in bocca”, proviene anche da fonti sostenibili. Bolton Food (il gruppo industriale che ne detiene il marchio) ha annunciato che il 52,4% del pesce inscatolato arriverà d’ora in avanti da aree a ridotto impatto sugli oceani, cioè zone in cui si sta lavorando perché l’approvvigionamento avvenga in maniera responsabile. In particolare si seguirà la cosiddetta certificazione MSC, garanzia di sostenibilità delle fishery che verte su tre cardini: la presenza di un numero di esemplari, in acqua, sufficienti alla riproduzione; un impatto sulla biodiversità marina ridotto al minimo; la piena legalità della gestione delle attività. L’impegno di Rio Mare, che è stato assunto insieme al WWF, tocca anche tracciabilità e trasparenza. La storia di ogni lattina deve essere ricostruibile, dal mare al punto vendita. Obiettivo finale è convertire, entro il 2024, il 100% del tonno in pesce proveniente da fonti sostenibili.
Di Giorgia Bollati.
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