Intervista a Maurizio Pallante
Maurizio Pallante: il coraggio della decrescita
Le tre parole-chiave della decrescita sono sobrietà, autoproduzione e scambio non mercantile. Come interagiscono questi tre concetti?
Rappresenterei questo rapporto con un tiro a segno. Il nucleo centrale è costituito dall’autoproduzione, presente in tutte le forme di società, anche in quelle della crescita. Fare il pranzo a casa invece di andare al ristorante, ad esempio, è autoproduzione. Ma anche coltivare un orto, fare lo yogurt, fino a costruire mobili e cucire vestiti.
Intorno a questo nucleo c’è una prima corona circolare che sono gli scambi non mercantili, quelli guidati non dal profitto ma dai concetti di dono e reciprocità, come ad esempio l’accudire un anziano invece di mandarlo in un ospizio. Più esternamente ancora c’è l’anello degli scambi mercantili, quelli dell’acquisto e del consumo. La società della crescita ha esteso l’anello degli scambi mercantili verso l’autoproduzione e gli scambi non mercantili, inghiottendoli e riducendoli al minimo.
La società della decrescita vuole invece potenziare al massimo gli altri due concetti, non abolendo la sfera mercantile perché non è possibile, ma riducendola alla sua dimensione fisiologica.
Di conseguenza, bisogna autoprodurre tutto ciò che non conviene acquistare, e questa sfera dell’autoproduzione sta crescendo anche in risposta alla crisi. Quello che non si può o non conviene autoprodurre si scambia, senza la mediazione del denaro. E più che un dono di cose, diventa un dono di tempo. Se io so fare una cosa di cui tu hai bisogno, te la faccio, senza chiederti nulla in cambio. Quando poi avrò bisogno di qualcosa io, tu la farai per me. Un comportamento a cui non siamo più abituati.
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Secondo lei, il primo passo è quello di risparmiare energia prima di consumarne di nuova, seppure rinnovabile. Qual è la sua ricetta?
In un momento storico come questo, in cui è sempre più tangibile il danno proveniente dalle fonti fossili e al tempo stesso la loro carenza, la scelta più importante da fare non è di incrementare l’offerta di altre fonti, ma è di diminuire la domanda.
Nel processo do produzione dell’energia elettrica ci sono degli sprechi enormi: ci sono centrali che hanno un rendimento del 35% e perfino le nuove centrali a ciclo combinato raggiungono solo il 55%. Nelle automobili poi c’è lo spreco massimo, perché all’inefficienza energetica – solo il 15% dell’energia viene utilizzata – si somma l’inefficienza nell’utilizzo dell’automobile.
Io uso spesso l’immagine del secchio bucato: se spreco più energia di quella che rendo utile, è come se dovessi riempire un secchio bucato di acqua. Se ho questo problema, la prima cosa da fare non è chiedermi con cosa riempirlo, ma chiudere i buchi del secchio.
E se mi pongo l’obiettivo di ridurre gli sprechi, sto facendo un vero e proprio discorso di decrescita economica. Significa parlare degli usi e non delle fonti. In passato chi era favorevole alle fonti rinnovabili ci accusava di essere contro queste fonti e di favorire la scelta del nucleare. Noi invece ci concentravamo sul rapporto fra investimento e rendimento. Quello che conta quindi non è tanto parlare delle fonti rinnovabili, quanto creare le condizioni affinché queste fonti diano il massimo rendimento. In Germania i migliori risultati si ottengono proprio con questa strategia: fabbriche a zero emissioni di CO2 hanno scelto come primo passo quello della riduzione del consumo energetico al 70-80%. Significa che adesso devono soddisfare un bisogno che è del 20-30% rispetto a prima. Una strategia complessiva per l’energia prevede quindi:
1 Investimenti per la riduzione degli sprechi
2 Soddisfazione del bisogno residuo con fonti rinnovabili
3 Produzione da fonti rinnovabili su piccola scala per autoconsumo
Quanto è compatibile l’idea di progresso e di sviluppo delle società occidentali con il modello proposto dalla decrescita?
Quello della decrescita è un modello culturale completamente diverso, in un certo senso una rottura. Se interpreto la decrescita solo come riduzione e sobrietà, non esco dalla cultura della società della crescita. La dialettica politica attuale è fra destra e sinistra, che sono entrambe varianti del modello industrialista. Noi usciamo da questa logica e ci poniamo alla ricerca e alla costruzione di un nuovo paradigma, che non può che essere una riflessione su prassi reali, non teoriche. E’ importante mettere in pratica ciò che si sostiene, perché è proprio questo che le amplifica e dona loro un’importanza che va ben oltre la scelta individuale.
Diverse volte si è espresso contro l’utilizzo dei termovalorizzatori. Qual è la soluzione per smaltire in modo corretto i rifiuti?
La definizione stessa di “rifiuto” è una deformazione conseguente alla crescita. Affinché l’economia cresca, deve ridursi sempre di più la durata della merce, in maniera che sia necessario comprarne altra il prima possibile. Ma qualsiasi oggetto sia stato utilizzato una volta contiene materie prime che possono essere riutilizzate. Secondo il Movimento, quindi, il concetto di rifiuto va abolito. Come in natura una vita che nuore diventa nutrimento per altre vite, così un oggetto va riutilizzato, e questo genera decrescita sia da un punto di vista energetico che delle materie prime utilizzate.
E’ possibile e utile quindi, da parte di coloro che, istintivamente o per scelta, si trovano in accordo con questa visione, “dare il buon esempio” agli altri?
Certo, lo è nei confronti di due tipi di soggetti. I primi sono quelli che soffrono di un disagio esistenziale derivante da questo stato di cose. Sono coloro che ogni mattina soffrono a mettersi in macchina, a stare chiusi tutto il giorno in un ufficio, poi ad andare al supermercato, poi a casa. Si sentono intrappolati e senza via d’uscita. Vedere un altro stile di vita diventa l’indicazione pratica di una soluzione alternativa.
Il secondo tipo di soggetti sono coloro che si preoccupano per i prezzi che aumentano, per l’invasione dei rifiuti, per la diminuzione del tempo di vita degli oggetti, per i problemi climatici. Per questo tipo di persone, l’autoproduzione, ad esempio, può diventare è una scelta di convenienza, che permette di arrivare più facilmente alla fine del mese.
Quanto coraggio ci vuole a cambiare la propria vita e a “decrescere”?
Il coraggio che ci vuole per rompere è più che compensato dai vantaggi che si hanno: serenità, gioia di vivere. Io lo vedo personalmente: vivo qui da nove anni e la mia vita è totalmente cambiata. D’estate non sento più il bisogno di andare in vacanza. La notte qui è buio, ci sono le stelle. Quando viene un acquazzone, senti la terra che respira, l’aria che si pulisce, le piante che si nutrono. E’ talmente vantaggioso che ne vale veramente la pena.
Testi e foto di Nicoletta Valdisteno – Riproduzione Riservata
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