Svolta al supermercato con i sacchetti biodegradabili
Indignazione al reparto ortofrutta. Così potrebbe intitolarsi la polemica che, lo scorso gennaio, con toni a tratti surreali e comunque fuori misura, ha tenuto banco sui media nostrani. Protagonisti: i sacchetti biodegradabili per pesare frutta e verdura al supermercato.
Secondo la nuova normativa entrata in vigore il primo dell’anno, infatti, anche le bustine di spessore inferiore ai 15 micron utilizzate come imballaggi primari nella grande distribuzione, come già dal 2012 le sporte per trasportare la spesa, devono essere obbligatoriamente di plastica biodegradabile e compostabile, monouso e a pagamento.
Proprio su quest’ultimo punto si è scatenato il finimondo. Per colpa, anche, di una comunicazione istituzionale non proprio impeccabile, i due centesimi di balzello da pagare per l’impopolare bustina hanno dato la stura a una serie di accuse, bufale e maldestre discolpe che hanno fatto perdere di vista i buoni propositi e i vantaggi ambientali per cui era intesa la legge.
A bocce (forse) ferme, proviamo ora a fare il punto e a sgomberare il campo da qualche equivoco. Partendo, innanzitutto, dalla direttiva europea 2015/720, recepita dalla nuova norma italiana. Vero è che il testo europeo si concentra soprattutto sulle buste della spesa, seguendo peraltro il buon esempio del nostro Paese, che ha vietato quelle in plastica tradizionale già dal 2012. La direttiva UE, però, invita i Paesi membri ad adottare le misure necessarie «atte a conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero», lasciando a ciascuno la libertà su come fare.
L’Italia, come pure la Francia, ha scelto di rendere esplicito sullo scontrino il prezzo dei sacchetti per l’ortofrutta, esattamente come già avveniva per le buste che si acquistano in cassa. «Insomma, ci siamo portati avanti, siamo stati più bravi. È questo il messaggio che deve passare», commenta Marco Versari, presidente di Assobioplastiche.
Sull’efficacia di questa misura nel disincentivare il consumo è ancora presto per avere dati. «Abbiamo però quelli riguardanti la legge del 2012 sulle sporte della spesa – fa notare Versari – In questo caso l’utilizzo è diminuito del 50% ed è in continuo calo. Certo i sacchetti ultraleggeri sono obbligatori per i prodotti ortofrutticoli, ma è anche vero che spesso le persone, vista la gratuità, ne abusavano, facendone gran scorta per altri usi. Insomma, non esiste un dato preciso sulla quantità consumata fino ad oggi, ma secondo una nostra stima per difetto, in Italia ne utilizzavamo tra gli 8 e i 10 miliardi all’anno. Speriamo ora che il numero diminuisca».
Va detto che una riduzione del consumo potrebbe essere aiutata dalle borse riutilizzabili portate da casa, come ad esempio le retine già molto diffuse in Nord Europa. E in effetti, dopo le richieste avanzate dalle associazioni di consumatori e da organizzazioni come Legambiente, il Consiglio di Stato ha dato parere positivo sulla possibilità di portarsi i propri sacchetti per fare la spesa, a patto che siano conformi alle normative igieniche e adatti a contenere alimenti. Chi poi debba effettivamente controllare questa conformità, rimane tutto da vedere.
Più semplice, in ogni caso, pagarli. Anche perché i sacchetti dell’ortofrutta compostabili sono utilizzabili per la raccolta differenziata della frazione organica, e costano pure meno dei rotoli acquistati allo scopo. L’unica criticità, a questo proposito, sono le etichette non ancora compostabili (tranne in rare eccezioni, come nei supermercati Esselunga). «Gli impianti sono comunque attrezzati a rimuoverle – precisa Alessandro Canovai, presidente del Consorzio Italiano Compostatori – ma per risparmiare energia e risorse, sarebbe buona norma apporle dove si possano staccare senza rompere la busta, ad esempio sul manico».
Etichette o no, l’introduzione delle nuove bioshopper sarà in ogni caso un vantaggio sul fronte della purezza del compost. Fino all’anno scorso, infatti, buona parte del 5% di impurità rilevata nei centri di compostaggio era dovuta ai vecchi sacchetti in polietilene, usati impropriamente per raccogliere i rifiuti organici. «Adesso però – conclude Canovai – il consumatore si trova praticamente “circondato” di buste biodegradabili, quindi diminuisce fortemente la possibilità che utilizzi quella sbagliata».
di Giorgia Marino
© Riproduzione riservata.